L’arte per stimolare la città a cambiare in funzione del continuo evolvere della propria identità, della propria cultura, della propria lingua, del proprio stile di vita e del proprio modo di vivere gli spazi collettivi.
È questa la filosofia del Festival Internazionale di Arte in Strada “Girovagando”, organizzato a Sassari dal Theatre en vol e Associazione Girovagando e giunto quest’anno alla 19° edizione.
Dal giovedì 15 settembre fino alla domenica 18, la città è stata invasa da spettacoli, mostre, reading, incontri, esperienze ed esperimenti per provare a stimolare il dibattito (sia a livello locale che in ambiti più complessi) su “Convivenze-codici, linguaggi, nuovi vocabolari”.
Per quattro giorni il festival si è impossessato delle piazze, grazie ad un ricco programma di spettacoli e performance teatrali che spaziavano dal teatro colto della compagnia svedese “Teater Albatros”, allo spettacolo di Danza Kathakali (una delle più famose forme di teatro totale fatto di musica, danza, canto, testo, trucco, e costume e legato alla più profonda tradizione e cultura indiana), passando per il marionettista gitano Rasid Nikolic e proseguendo ancora per il progetto italo-africano “incursioni teatrali-migrazioni” , progetto creato da Attori, danzatori, trampolieri, musicisti e scenografi provenienti da diverse culture e uniti all’insegna della convivenza pacifica. Una spettacolare parata animata da una coinvolgente coreografia in movimento che, spinta da un ritmo incalzante di percussioni tribali ha percorso per tutto il tempo, le vie del centro storico.
Ma la novità di questa 19° edizione del festival, che cresce ogni anno in importanza e complessità del programma, è stata la creazione, durante i quattro giorni della manifestazione, di un luogo stabile di riferimento. Uno spazio fisico dedicato alla creatività e all’arte, una “piazza coperta” che già nella scelta del luogo ha rappresentato la ricerca di una diversa relazione con la città: il Vecchio Mercato Centrale, affascinante spazio storico dell’identità sassarese, oggi in disuso e in cerca di una nuova identità urbana.
L’ACSIT di Firenze in collaborazione con l’associazione Culturale TERRITORI, hanno contribuito alla temporanea rinascita di questo luogo. L’apertura dello spazio in occasione del festival, è stata infatti scandita dall’inaugurazione della mostra IL TEMPO SOSPESO 1992-2015. Gli onesti naviganti tra isola e continente.
La mostra, presentata per la prima volta allo spazio delle Murate a Firenze nel dicembre del 2015, è un progetto voluto e prodotto dall’Associazione Culturale Sardi in Toscana e curata da Davide Virdis.
In un festival, in Sardegna, che parla di migrazioni sociali e culturali, non poteva mancare il racconto di due giovani che per studiare e lavorare sono obbligati a emigrare dall’Isola.
Davide Virdis e Stefano Pia, grazie al dialogo tra scatti realizzati a venticinque anni di distanza, raccontano la loro esperienza di viaggiatori tra isola e continente. Le loro immagini ripercorrono un lasso di tempo che, se da un lato ritorna indietro fino alla memoria dei viaggi sotto il monopolio Tirrenia, vissuti su navi disagevoli, caratterizzate da tristi arredi in linoleum carenti di manutenzione, spesso sporche e instabili alle onde del mare, dall’altro lato si spingono fino alla documentazione della nuova dimensione “vacanziera”, adottata oggi dalle diverse società di navigazione per intercettare i flussi turistici estivi. Oggi le compagnie s’impegnano per stupire e catturare gli ospiti offrendo servizi d’intrattenimento propri della crociera turistica. Le navi sono allestite pensando viaggi estivi in technicolor per poi, durante l’inverno, viaggiare semivuote, con le loro offerte di svago costrette “a luci spente e bandoni abbassati”, mostrando ambienti surreali caratterizzati da arredi e colori fuori luogo.
La mostra è strutturata in tre diversi racconti. Il primo formato da venti immagini di Davide Virdis realizzate tra il 1992 ed il 93, è caratterizzato da un contrastato bianco nero che ne dichiara apertamente la loro origine chimica e analogica. Sono tutte immagini scattate sulle navi della Tirrenia: le partenze dal porto di Genova quando, soprattutto durante le feste comandate, le scomode scalette per l’imbarco provocavano l’ingorgo del flusso di emigranti e studenti calati con il treno dal nord dell’Italia, se non da oltre le Alpi, Il vecchio approdo di Porto Torres, l’arrivo dopo una lunga notte passata al bivacco, tutte immagini che ci raccontano una storia appartenente al passato, per quanto recente. L’autore le descrive come immagini spesso rubate, realizzate con il grandangolo e la macchina fotografica all’altezza dell’ombelico, alla ricerca di una documentazione sui viaggiatori non filtrata dall’innaturalezza che crea il sentirsi fotografati.
A queste immagini si unisce il racconto di Stefano Pia, realizzato nel 2013 anch’esso in bianco e nero, digitale ma con un linguaggio che si rifà alla grande tradizione del reportage classico. 21 fotografie che, armonizzandosi in un unico grande racconto, dialogano serenamente con quelle di Virdis. Entrambi i lavori ci parlano di una medesima dimensione del viaggio, quel viaggio che Stefano Pia ci racconta popolato da (…)passeggeri in partenza per una vacanza, un funerale , alla ricerca di un lavoro, pellegrini o semplici avventurieri diversi per nazione età o idee ma tutti nella stessa barca. Per noi sardi, in particolare, quello dei traghetti è sempre stato un tema importante, il nostro ponte con il resto d’Italia, che con il suo lento navigare ti dà l’idea palpabile del distacco dall’Isola.
Il terzo racconto della mostra si differenzia dagli altri due: sei immagini a colori di grande formato, realizzate nell’estate del 2015 da Davide Virdis, apposta per questo progetto.
Come dice lo stesso autore nel catalogo della mostra: La scelta di usare il colore per documentare le traversate più recenti nasce dalla volontà di comunicare una netta cesura tra queste e le altre mie immagini scattate all’inizio degli anni ’90, rafforzare, anche attraverso questa scelta, l’autonomia tra i due lavori. Il primo recuperato dall’archivio a documento di un’esperienza passata, il secondo generato dalla curiosità di confrontarmi, a vent’anni di distanza, con un tema dal quale non mi sono mai distaccato. (…) Durante questi viaggi, nei periodi di flusso turistico intenso, spesso si ha l’impressione di essere in un cartone animato, non riuscendo a trovare un proprio ruolo, salvandosi diventandone spettatore.
Per quattro giorni la mostra fotografica ha condiviso lo spazio e il tempo del Vecchio Mercato Centrale, con il ricco calendario di eventi che si sommavano alle manifestazioni organizzate “girovagando” per la città. Ogni sera ci si poteva intrattenerenel caos creativo della piazza coperta, godendo degli ultimi stralci di serate estive, bevendo l’aperitivo, mangiando con una ricca scelta tra prodotti di street food etnico, tutto proposto tra banchini per lo scambio di oggetti, giocattoli e libri usati, botteghe per la vendita di prodotti etnici realizzati nei centri per accoglienza per extracomunitari, comprare i prodotti agricoli a km 0 coltivati negli orti urbani di San Pietro in Silki, partecipare ai laboratori creativi dedicati ai bambini, alle performance artistiche in programma o estemporanee, e ancora concerti etno-jazz, spettacoli teatrali… Una sorta di SUK, di mercato arabo estremamente rappresentativo di quella complessità propria del mare Mediterraneo, letta e proposta come ricchezza culturale invece che emergenza sociale.