Venerdì 23 febbraio alle ore 19:00 l’Associazione Culturale Sardi in Toscana organizza al Teatrino del Gallo (via San Gallo 25/r Firenze) lo spettacolo teatrale “Il muro incinto – Su muru prinzu (ovvero Costantino Nivola in scena)” di Paolo Puppa liberamente tratto da “Memorie di Orani” di Costantino Nivola con la regia e interpretazione di Giovanni Carroni.
Giovanni Carroni interpreta l’artista di Orani Costantino Nivola, che ritorna per un’ora a raccontare la sua storia, sospesa tra gli umori dell’anticamera dell’Ade. Un viaggio della memoria che l’attore prova fa passare attraverso il suo corpo, le sue carni. Poiché la memoria non viene dalla mente, ma viene dalle mani, dai piedi, dal naso, dagli occhi. Il luogo/città dell’uto-pia, ideale antico in cui arte e architettu-ra, ma anche pittura, scultura, decorazione, collage, grafica, si fondono in un fermento vitale, è ripreso da Antine Nivola come narrazione letteraria nell’opera autobiografica “Memorie di Orani” dalla quale è tratto l’adattamento drammatur-gico di Paolo Puppa. La poesia di Nivola è pari a una grande energia e, nonostante la “leggerezza” insita nel ritorno dall’ade di Costantino, il testo è carico di movi-mento, densità pittorica e figurativa, di luce, di emozione. La sua vita e quella del paese di Orani acquistano un valore mi-tologico, e con loro tutta la Sardegna dei primi del secolo, povera e sofferta, in parte sconosciuta ai sardi stessi. Il suo infatti non è il materiale della “favola” ma materia del mito. Perché mito è il luogo della sua nascita Orani, è il grembo materno, è la pancia de su muru prinzu- il muro incinto; opera emblematica, nella poetica di Costantino Nivola, “Figura femminile” ricavata dalla superficie di marmo dolcemente concava: “il muro panciuto della casa nascondeva sempre un tesoro, il pane piatto e sottile che si gonfiava al calore del forno, promessa che la nostra fame sarebbe stata appagata per sempre. Allo stesso modo la donna incinta nasconde nel suo grembo il segreto d’un figlio meraviglioso”.
La mancanza del pane crea ansietà e dis-perazione, poi con l’arrivo del grano la quiete dopo la paura, il momento di bellezza nella tragedia. Il dramma della fame è bandito in uno stato di pace. Nivola racconta dunque la tragedia e la bellezza, la disperazione e la pace, così come nelle sue creazioni tra antico e moderno: forme nuragiche e mediterra-nee, la densità dentro le intricate linee di New York o di Orani. Nivola si racconta attraverso il ciclo vitale delle stagioni, per un’ora ci regala una lezione di vita, di arte e di moralità, la stessa di cui è permeato il suo libro auto-biografico. Lo spettacolo tocca una forma ontologica della memoria. La memoria della vita e dell’incontrare la morte, perché il corpo deve sapere cosè la morte. La consapevolezza della morte, come per Nivola, ci consente di rinnovare noi stessi e i nostri sentimenti. Il momento di narrazione dunque è sospeso come in un limbo tra il regno dei vivi e il regno dei morti. Poiché la nostra vita in realtà è il percorso verso l’Ade, e questo “rito” teatrale vuole essere anche l’ampliamento di questo percorso. L’attore tenta di superare i limiti del suo corpo, dell’umano, per entrare nel metafisico della scena, per assecondare e svelare il significato profondo della parole di Antine Nivola. Le scene sono ispirate inoltre alla produzione artistica di Maria Lai, amica carissima di Costantino Nivola.
Ingresso libero con posti limitati, consigliata la prenotazione.